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Rassegna stampa

Per la pubblicazione delle attività rivolgersi a
Rosalba Fiduccia
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Nella serata di venerdì 26 giugno il Club Kiwanis Ghemme Bassa Valsesia ha organizzato una “Cena con delitto” al “Tenimento Al Castello di Sillavengo” animata da: “La Compagnia delle Chiacchiere” di San Maurizio d’Opaglio.

I commensali si sono appassionatamente cimentati nel cercare movente e prove per determinare chi avrebbe potuto essere l’assassino. Titolo dell’episodio: “Per una Pillola in Più”. La sceneggiatura della compagnia teatrale prevedeva l’omicidio di un piccolo imprenditore del settore automobilistico, che ha avuto un improvviso malore mentre sorseggiava l’aperitivo. Sospettati l’ex socia in affari, l’ex fidanzata, il medico curante.

Dall’interrogatorio condotto dal commissario di polizia, coadiuvato da una dottoressa dei RIS (la scientifica dei carabinieri), sono emersi molti indizi, ma la vicenda era molto intricata e di difficile soluzione tanto che nessuno dei presenti è riuscito a definire con precisione tutti gli elementi richiesti per decidere chi tra i sospettati avrebbe dovuto essere arrestato. I commensali, suddivisi per tavoli, si sono sbizzarriti nelle conclusioni, ma solo un tavolo ha individuato l’assassino nella ex socia del defunto. Pur non avendo centrato il movente questo tavolo è stato premiato. La presidente del Club Alessandrina Gozzi ha consegnato il premio consistente in un cofanetto per il gioco delle carte.

Come noto lo scopo principale del Kiwanis è quello di contribuire ad alleviare le sofferenze dell’infanzia che si trova in situazioni di disagio. Il Club di Ghemme è impegnato da sempre nell’aiuto di famiglie con bambini bisognose del territorio, delle scuole, degli asili, case famiglia e altre istituzioni che si occupano di bambini. In campo internazionale questo Club da anni ha aderito al progetto “Eliminate” che Kiwanis International e Unicef portano avanti con lo scopo di eliminare il tetano neonatale in tutti quei Paesi dove è ancora presente. Questa malattia colpisce i neonati e le loro mamme attraverso un processo infettivo del cordone ombelicale alla nascita a causa della mancanza di igiene. I colpiti muoiono dopo alcuni giorni di atroci sofferenze.

L’intervento avviene attraverso una organizzazione medico/infermieristica finanziata da Kiwanis e Unicef che raggiunge i moltissimi villaggi in particolare nel continente africano e asiatico e prevede una semplice vaccinazione dal costo irrisorio di circa due dollari; con un ciclo di tre vaccinazioni si rendono immuni bambini e mamme da questa terribile malattia. Il Club di Ghemme si è impegnato a versare una quota annuale a favore di questo progetto, ed è anche per questo motivo che il Luogotenente Governatore della divisione Piemonte 3 del Kiwanis Italia Marzio Carabelli ha conferito un attestato di benemerenza alla Presidente del Club Alessandrina Gozzi. Con la consegna dei gagliardetti e di una ceramica artistica ai componenti la “Compagnia delle Chiacchiere si è conclusa la divertente serata. 

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La serata organizzata dal Club Kiwanis Ghemme e Bassa Valsesia venerdì 29 maggio al Ristorante “Il Maniero” di Agnellengo di Momo ha visto come protagonista e relatore un personaggio novarese molto noto: Maurizio Leigheb. Nato a Novara, etnologo, iscritto all’ordine dei giornalisti dal 1976 ha pubblicato una decina di libri di viaggio e d’argomento antropologico, numerosi saggi, articoli e reportage per vari editori. Bravo pittore è anche documentarista, autore di oltre cento documentari su vari Paesi, civiltà ed etnie trasmessi da Rai, Mediaset ed emittenti straniere. Grande viaggiatore, da oltre trent’anni si dedica allo studio documentato di altre culture ed è impegnato nella difesa dei diritti umani e delle minoranze etniche. In particolare molte delle sue spedizioni sono state organizzate in Amazzonia e Nuova Guinea indonesiana dove sopravvivono gli ultimi gruppi indigeni isolati, per documentare il drammatico processo di acculturazione ed estinzione. Ha condiviso con famosi studiosi della “politica indigenista” lo studio e la ricerca nel settore, contribuendo a far conoscere e rispettare le diversità culturali quale condizione indispensabile per una pacifica convivenza civile. Ha partecipato a molte trasmissioni televisive in Italia e all’estero divulgando le sue esperienze. Maurizio Costanzo lo definì “l’ultimo grande esploratore italiano”. Per i suoi lavori ha ottenuto molti riconoscimenti nazionali ed internazionali. Molto bravo nella descrizione delle sue particolari e a volte pericolose esperienze Leigheb ha presentato tramite splendide foto ed un filmato l’esperienza vissuta in Papua Nuova Guinea presso le popolazioni Asmat con le quali ha instaurato un rapporto di amicizia e reciproco rispetto, facendoli interagire anche con i mezzi di registrazione d’immagine. Gli Asmat sono particolarmente portati alle arti prevalentemente la scultura, che viene insegnata e praticata già dall’infanzia. Le loro opere hanno significati simbolici che derivano da una cultura che si fa risalire a trentamila anni fa. Le loro sculture sono una sorta di mediazione tra la società e il mondo degli antenati. I Bisj sono opere incredibili; pali alti fino a otto metri scolpiti nei tronchi delle mangrovie, commemorano i personaggi per loro più importanti allo scopo di mantenerne il ricordo e per farli rivivere perennemente, assistendoli nel passaggio delle loro anime nel mondo degli antenati. Le sculture in questi grandi opere sono simboliche immagini umane sovrapposte l’una all’altra, a volte raccolte in posizione fetale con i gomiti posati sulle ginocchia, figure ancestrali che regolano l’universo. Così gli Asmat seguono la tradizione perpetuando il gesto creatore di “Fumeripits” che per primo diede forma alle figure degli antenati scolpendo i tronchi degli alberi e infuse loro vita con il suono del tamburo, poi li pose all’interno degli Jeu (capanne). Ogni scultore, e quindi ogni Asmat, si sente intimamente in relazione con il tronco che sta lavorando tanto da identificarsi con l’albero stesso. Amano definirsi Asmat ow che si può tradurre come “uomini veri” o “gente dell’albero”.  In passato i Bisj venivano scolpiti prima delle sortite per una caccia alle teste. Gli Asmat erano infatti cacciatori di teste. Rimane ancora oggi l’abitudine di addormentarsi con il capo appoggiato su un cranio, usato in sostituzione del cuscino. La pratica della caccia di teste (e del cannibalismo) trova un suo significato entro le loro credenze. È indispensabile conservare ordine e armonia nel cosmo per mantenere il benessere, e la vendetta compiuta nei confronti del nemico con il taglio della testa e il suo sangue versato ai piedi del totem libera lo spirito del morto in esso contenuto, altrimenti l’anima del defunto vagherebbe tra i vivi causando epidemie e carestia nel villaggio. Nel loro credo la pratica consente di conservare in questo modo la stabilità nell’universo.

Una vita tribale quella degli Asmat, tra le foreste pluviali di Papua infestate da coccodrilli e altri animali pericolosi, in un’area difficilmente raggiungibile con i comuni mezzi. Solo in canoa (o con l’elicottero) si possono raggiungere i loro villaggi.

Dopo aver risposto ad una serie di domande degli attenti ed interessati convenuti Maurizio Leigheb ha ricevuto a ricordo della serata dalla Presidente del Club Alessandrina Gozzi una ceramica artistica e il gagliardetto. La Presidente ha poi ricordato la prossima serata d’estate al Tenimento al Castello di Sillavengo sabato 27 giugno con la partecipazione della “Compagnia delle chiacchiere”.

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Don Damiano Pomi è stato relatore alla serata del Kiwanis Club Ghemme e Bassa Valsesia tenutasi al Ristorante Farese sabato 18 aprile u.s.

Don Pomi, valsesiano di Varallo, è stato ordinato sacerdote nel 2010. Laureato in Lettere Moderne con indirizzo storico-archeologico ha seguito successivamente gli studi religiosi ed il baccellierato in teologia. Nonostante la giovane età (ha 38 anni) ha una vasta esperienza nel campo dell’insegnamento, ed una corposa produzione nel campo della cultura: libri, pubblicazioni, contributi, conferenze ed altre attività che lo vedono costantemente impegnato.

La relazione di Don Damiano ha letteralmente aperto nuovi spazi di lettura e devozionali sul Sacro Monte di Varallo Sesia. Il titolo del libro da lui scritto: “La parola si fa arte; luoghi e significati del Sacro Monte di Varallo” traccia nuovi orizzonti interpretativi su questo luogo di culto.

Tutti in zona conosciamo bene o male il Sacro Monte, famoso in modo particolare per le opere di Gaudenzio Ferrari, di Tanzio da Varallo e di altri grandi artisti. All’origine però il Sacro Monte era qualcosa di diverso. Il frate francescano Bernardino Caimi che lo ideò dopo essere stato in Terra Santa come commissario incaricato di eleggere il nuovo custode aveva voluto costruire a Varallo l’esatta copia dei luoghi devozionali di Gerusalemme e dei luoghi in cui si svolse la vita e la passione di Gesù come descritta dal Vangelo. Era il 1478 e con il consenso e l’appoggio del Duca di Milano Ludovico il Moro, interessato a rafforzarsi in questi territori di confine verso il dominio dei Savoia, il Caimi che era personaggio di grande cultura ed intraprendenza, realizzò il suo sogno: ricreare i luoghi e l’atmosfera che lui stesso aveva potuto godere nei suoi soggiorni in Palestina. Erano anni difficili ed era praticamente impossibile recarsi in Terra Santa. La dominazione dei turchi mussulmani (è di quegli anni la caduta di Costantinopoli) impediva di fatto ai cristiani di professare in loco la propria fede. Ancora oggi, cinquecento anni dopo, in alcuni territori si respira la stessa aria. E far vivere sul posto l’atmosfera della Palestina consentiva ai fedeli un percorso devozionale altrettanto pregno di fede cristiana senza doversi esporre a rischi improponibili.

Prese tutte le misure fra Bernardino e si ingegnò per costruire esattamente gli stessi luoghi a Varallo: la grotta della natività, il Santo Sepolcro, il sepolcro della Vergine e così via. Non è rimasto molto di quelle realizzazioni, ma ciò che si può ancora ammirare è sufficiente per comprendere. È come quando si gira un video o si scattano delle foto per ricordare i luoghi, ma soprattutto per viverne le atmosfere, egli lo fece costruendo di sana pianta la ambientazioni palestinesi. Come ricorda l’iscrizione sopra la cappella 43 grazie all’intervento del nobile milanese Scarognini nel 1491 venne inaugurata la prima cappella. Costruì anche il convento francescano e la chiesa di S. Maria delle Grazie e nel 1493 con atto notarile la comunità di Varallo dona al Caimi, Vicario degli Osservanti, il primo nucleo dell’erigendo nuovo complesso religioso: il convento, la Chiesa e, sull’altura sovrastante Varallo, l’eremitorio del Sepolcro, la cappella sotto la Croce, la cappella dell’Ascensione. Bernardino Caimi morì nell’anno 1499. In una guida del 1514 viene descritto il percorso e i complessi sacri, alcuni realizzati con semplici architetture nello stile francescano: Nazareth, Betlemme, il Getsemani, il Calvario, il Sion, etc. con la descrizione delle pitture e sculture di artisti lombardi che ricordavano le scene per aiutare il fedele ad immedesimarsi nell’episodio evangelico.

A conclusione della serata la Presidente del Club kiwanis di Ghemme Alessandrina Gozzi ha ringraziato sentitamente Don Damiano Pomi consegnandogli il gagliardetto e una ceramica artistica.

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Divertentissima serata quella di Pasqua organizzata sabato 28 marzo al Ristorante Gufo Nero di Ghemme dal Kiwanis Club Ghemme e Bassa Valsesia. La compagnia teatrale Teatromalìa diretta da Pierluigi Zuin ha coinvolto i presenti in una gara fatta di divertenti sketch facendo agire da attori improvvisati professionisti, imprenditori, pensionati, operai, artigiani, bancari, insegnanti, che con gesti e battute recitate dovevano manifestare sentimenti di gioia o dolore, stupore o preoccupazione. Alcuni si sono dimostrati bravi attori, altri un po’ meno, ma tutti indistintamente si sono molto divertiti e la serata ha avuto un insperato successo. Alla fine non è stato assegnato nessun premio perché sostanzialmente le quattro squadre in lizza hanno ottenuto lo stesso punteggio e sono state classificate in parità.

Gli sketch sono stati inframmezzati da una lotteria con ricchi premi, in buona parte costituiti da uova di Pasqua. Anche altri clienti del ristorante, dislocati in altre sale si sono sentiti coinvolti ed hanno partecipato alla lotteria. Il primo premio era un uovo colossale che il vincitore ha poi lanciato in aria perché si potesse rompere, distribuendo scaglie di cioccolato a tutti i presenti.

La presenza del Luogotenente Governatore eletto per il 2015-2016, di presidenti e molti kiwaniani provenienti da altri Club del territorio e del Sindaco di Ghemme e ha dato lustro alla serata che si è conclusa con lo scambio di auguri per la prossima Pasqua.

Agli attori ed attrici della compagnia Teatromalìa la Presidente del Club Alessandrina Gozzi ha poi consegnato i gagliardetti del Club e una ceramica artistica.

 

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28/2/15 - Intrigante l’argomento trattato nel corso della serata di sabato 28 febbraio al Tenimento al Castello di Sillavengo organizzata dal Club Kiwanis Ghemme e Bassa Valsesia dal titolo “Storie di monache ribelli”.

Relatrice la prof.ssa Silvana Bartoli, che ha insegnato nelle scuole superiori e presso la scuola inter-ateneo di specializzazione dell’Università di Torino.  Si occupa di ricerca storica per passione, in particolare di storia delle donne, sviluppandone le tematiche riguardanti “identità e memoria”, con attenzione specifica alle forme e ai modi della monacazione femminile del seicento. Svolge un affascinante lavoro di ricerca negli Archivi di Stato, notarili e dei monasteri, nelle biblioteche e negli archivi privati di famiglie illustri. È autrice di numerose monografie, saggi ed articoli. Collabora con l’Associazione Italiana Donne per lo sviluppo AIDoS, sezione italiana del “Women in Development Europe”. Fa parte della “Società Italiana delle Storiche”, della “Societé des Amis de Port- Royal” e del “Centre International Blaise Pascal”

La prof.ssa Bartoli ha avuto numerosi riconoscimenti tra i quali: il Premio di Scrittura Femminile “Il Paese delle Donne” sezione saggistica nel 1995, il Premio Letterario Nazionale “Grazia Deledda” sezione saggistica nel 2003, il riconoscimento della “Fondazione BPN per il Territorio” sezione saggistica nel 2005.

Partendo dal monachesimo del medioevo la relatrice ha preso spunto dal Monastero di S. Maria Maddalena in Novara, attivo dal XIII secolo, nell’edificio detto della Croce di Malta al Rondò. In epoca medioevale e fino al XX secolo la condizione della donna era particolarmente disagevole. Non aveva diritto di studio e anche le scelte di vita più importanti erano decise dal capofamiglia, talvolta ancora prima della nascita; nessuna aveva la benché minima possibilità di eccepire. Si diventava monaca o ci si maritava per decisione della famiglia non per vocazione, per scelta o per amore e molte ragazze che non si sapevano adattare si ammalavano o impazzivano. L’obbedienza era obbligata, come per Elisabetta Sforza che quindicenne fu costretta a sposare Guglielmo del Monferrato “… che era di etate di sexantacinque anni e lei ancora al sextodecimo non atingeva, et il proximo giorno consumeranno il matrimonio … Dirò solamente che ho visto questa illustre sposa molto di malavoglia e mentre che la fue sposata la vidi versar lacrime e così iersera tornò al castello con gli occhi lacrimosi e molli. Pensi Vostra Signoria quello che la farà quando l’anderà a dormire la prima sera. Credo che il cuore gli morderà parendoli di andar a dormire col padre. Pure è stato bisogno che anchor lei l’habbi bevuto il calice suo”. Morì dopo tre anni di matrimonio, alla terza gravidanza. La stessa Bona di Savoia, Signora di Novara e moglie di Galeazzo Maria Sforza, fu costretta a sposarlo pur non conoscendolo e da lui scelta principalmente perché era in possesso per dote di una reliquia potentissima che valeva molto più di tutti i beni terreni: un frammento della “Verga di Mosè”. Pure significativo fu quanto dichiarò una monaca per dimostrare la sua obbedienza: “Questi gradini sono bianchi ma, se il papa mi chiedesse di giurare che sono neri, io gli crederei”. Non tutte però accettavano supinamente questa condizione. Le monache del monastero novarese di S. Maria Maddalena nel XVII secolo acquistarono un intero isolato situato tra via S. Pellico, C.so Cavallotti, via M. Greppi, via dell’Archivio e trasferirono il monastero dalla precedente sede in questi edifici, rimanendovi fino al 1799. Dal 1804 questo edificio fu sede del liceo classico e dell’archivio di stato e dal 1823 è di proprietà del Comune di Novara.

Le monache fecero un resoconto del trasloco disobbedendo alle direttive del Vescovo e subendone le reprimende.

Anche Jacqueline Arnauld (mère Angelique) badessa dal 1602 del monastero di Port-Royal nei pressi di Parigi si batté per riportare il suo monastero alla piena osservanza della regola benedettina in netto contrasto con il vescovo e le autorità del luogo che erano abituate ad entrare in convento quando ne avevano voglia mentre la “regola” non lo prevedeva. Innumerevoli altri esempi sono stati citati dalla prof.ssa Bartoli che ha intrattenuto i presenti con una relazione avvincente densa di riferimenti storici. Poco più di mezz’ora densa di cultura e di passione oratoria molto apprezzata dai soci e loro ospiti.

La presidente Alessandrina Gozzi ha consegnato alla prof.ssa Bartoli una ceramica artistica e il gagliardetto del Club.

Il prossimo appuntamento sarà il 28 marzo al Ristorante Gufo Nero di Ghemme per la conviviale di Pasqua con la compagnia teatrale di Pierluigi Zuin che interagirà con i presenti coinvolgendoli in divertenti pieces.

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