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PIEMONTE 3 - Aprile

KC VARESE


KC NOVARA MONTEROSA

Alla serata del Kiwanis Club Novara Monterosa di venerdì 13 aprile è intervenuta la dott.ssa Caterina Raimondi, nota e apprezzata psicologa e psicoterapeuta novarese dal nutrito curriculum vitae, nonostante la sua giovane età.
Accreditata con diverse specializzazioni professionali e titolare di numerosi incarichi presso la locale Facoltà di Medicina dell’Università “Avogadro” e, su nomina del CSM, esperta di psicologia presso i tribunali, nonché formatrice delle Forze dell’Ordine della città e provincia, lavora all’ASL di Trecate come responsabile dell’annesso Ambulatorio G.A.P.
Nel corso della serata ha svolto una interessante relazione sul tema del gioco d’azzardo con esperienze e trattamenti, prendendo spunto da un progetto in fase di esecuzione, che si propone di esaudire le richieste di aiuto per le diverse problematiche, talvolta purtroppo tragiche, causate dal gioco d’azzardo.
Ha tracciato un breve excursus storico di questa nuova dipendenza, che oggi avvelena le persone e intere famiglie, a partire dai casinò fino alle slot- machine e ai videopoker. A queste sciagurate attitudini si sono aggiunti di recente i giochi cosiddetti vitalizi, che in verità registrano una scarsa partecipazione, perché le eventuali vincite sono rimandate nel tempo, mentre il giocatore le vuole realizzare in via immediata.
Il morbo della ludodipendenza si manifesta attraverso vari stadi, che si possono riassumere nella fase delle vincite, seguita da quella delle perdite e infine dalla disperazione. Si inizia, si perde e subito subentra il desiderio del riscatto. E’ il segnale col quale incomincia la dipendenza e l’assuefazione ed è anche il momento in cui una persona, coinvolta nelle spire del gioco, va in cerca d’aiuto.
La prima cosa da fare è “togliere la benzina”, togliere cioè il denaro, che alimenta questa insana passione.
L’approccio psicologico diventa una strada obbligata, atteso che le consultazioni col professionista si giovano di colloqui e di test, specialmente di quelli canadesi e degli USA. Sono strumenti idonei a misurare la quantità delle motivazioni che spingono a continuare a giocare e l’entità della resistenza. Inoltre, è possibile esaminare il comportamento in rapporto al gioco, che caratterizza e si collega ad ogni giocatore come, ad esempio, le abitudini, i dettagli specifici ed altri risvolti, come l’ammontare dei soldi di cui si dispone o si può disporre, anche in modo illecito.
Il fenomeno va valutato attraverso una serie di domande a cascata, senza consentire al soggetto di riflettere e di trovare delle motivazioni, quasi sempre non veritiere, perché il giocatore è bugiardo, in modo che i pensieri e le credenze espresse d’impulso siano analizzate nella loro immediatezza. La successione delle domande è finalizzata a conoscere l’approdo al gioco, le superstizioni, le distorsioni, la sovrastima personale, la fatalità, il caso.
La seduta con il professionista si compendia in un approccio psicologico e comportamentale mediante l’applicazione di consolidate teorie cognitive e fisiologiche, fermo restando che non sono suggerite terapie farmaceutiche, peraltro inesistenti nella fattispecie.
A questo punto la relatrice ha illustrato una serie di dati statistici, acquisiti sul campo, allarmanti, come nella realtà di Trecate, un paese della provincia, dove sono seguiti circa 150 soggetti, che rappresentano circa l’uno per cento della popolazione residente. Il che non è poco, ove si consideri che si tratta di un centro non molto grande, dove tutti si conoscono e tutti sanno i fatti e i comportamenti degli altri.
I motivi dell’approccio al gioco sono tanti e disparati. C’è spesso un desiderio di autodistruzione e quindi la deliberata volontà di perdere, oppure di andare contro comunque a causa di fatti risalenti all’infanzia o alla gioventù, o ancora per fatti connessi a problemi di famiglia.
C’è anche un aspetto narcisistico del giocatore, che si considera uomo-macchina, forte, invincibile, che riesce a controllare le proprie azioni e le emozioni. C’è una smisurata sensazione di autostima, perché dice di poter smettere quando vuole. Ma subentrano anche fatti o avvenimenti casuali, come un trauma o uno stile di vita, oppure una vincita che fa superare il senso d’inferiorità ed anche presenze ingannevoli, conflittuali, di cui spesso il gioco è solo la punta dell’iceberg.
In breve, più è lo stimolo, più c’è coinvolgimento da parte del soggetto.
Le leva da utilizzare a seconda delle diverse tipologie è di far modificare i pensieri, di analizzare le percezioni erronee, di affrontare le possibilità negative della vincita. In questo scenario il caso non esiste, perché tutto è controllabile. Solo occorre dimostrare l’imprevedibile.
Il gioco diviene un problema, quando rappresenta l’unica attività del soggetto, il suo pensiero ossessivo, per cui occorre evitare che diventi un fattore patologico. In quest’ottica, l’autocontrollo rappresenta un momento difficile e di difficile soluzione. Lo stesso giocatore deve reagire con la volontà di controllarsi, col “domare il leone” che ha in sé, attraverso un’azione consapevole contro il rischio del gioco, perché esso è un’attività eccitante e piacevole, e il piacere che si prova è sempre inferiore a quello che il soggetto si aspetta. Poi c’è una letteratura fatta di credenze difficili da smontare. Ogni giocatore dice che può smettere quando vuole, senza rendersi conto che deve prima capire, ragionare, e dopo spegnere l’incendio che lo sta distruggendo.
La dottoressa Raimondi ha accostato la dipendenza dal gioco d’azzardo a quella delle droghe e dell’alcool, ricorrendo a parallelismi cui raramente si pensa.
Infine, correlata al gioco è l’usura, il triste fenomeno delinquenziale, di cui le cronache ci raccontano quasi ogni giorno i tragici risvolti. (a.l.)