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KC Novara Monterosa - Commemorando la Giornata della Memoria con una grande pianista  

Pubblicato da: MFPellegrino | KC Novara Monterosa |  Letture: 2444

KC Novara Monterosa - Commemorando la Giornata della Memoria con una grande pianista
Una serata dai ricordi tristi, ma resi straordinariamente avvolgenti dalle note delicatissime che la nostra amica Claudia ha saputo far emergere da un pianoforte, non certo all’altezza della sua maestosa interpretazione.
Come sempre, in questi momenti di forte coinvolgimento, l’attenzione di tutti è stata molto alta. Le note girovagavano nell’aria mentre la mente cercava di immaginare gli irreali scenari dove venivano così sapientemente composte.
La tristezza, che rendeva l’aria spessa e tagliabile, lasciava inesorabilmente posto ad una sete curiosa di capire, di scrutare profondamente nei meandri della memoria, chiedendosi perché accadono fatti così atroci e tremendi.
Questa sete di conoscenza inesauribile ha permesso il ritrovamento dei dati storici sotto descritti, che richiedono, a chi legge, una grande forza per completare la lettura...

Quando fu costruito Auschwitz, era già nella tradizione dei campi di concentramento nazisti formare un’orchestra degli internati.
Mentre le squadre si avviavano al lavoro o tornavano, i musicisti dovevano suonare delle marce e non solo perché gli uomini delle SS ci tenevano a dare una parvenza pseudo-militare alla vita dei lager. Infatti, già nel gennaio del 1941, i prigionieri rinchiusi nel Blocco 24 del campo principale avevano cominciato a eseguire le prove, con strumenti che si erano fatti mandare da casa.
La morte, le torture, il dolore, il sangue, la fame, la vita ridotta a niente imperversavano, ma l’orchestra e la musica non potevano mancare!
Ma qual era il suono della Shoah? Quale composizione poteva ‘dire’ il lugubre silenzio dei campi squarciato dagli urli delle sirene, dall’abbaiare dei cani, dallo sferragliare dei treni?
Nei campi gli altoparlanti diffondevano musica da ballo per dare la sveglia o avviare al lavoro forzato. Nei campi c’erano perfino orchestre formate dai deportati costretti a suonare mentre i loro parenti, amici, si avviavano verso la morte.
Qual era il suono della morte? Che musica si eseguiva nei luoghi ai confini della vita?
È noto che la musica era presente, in molti luoghi dell’universo concentrazionario nazista: nei ghetti della Polonia o delle regioni baltiche, nei campi di concentramento e perfino in “città della morte” come Treblinka o Birkenau.
Ma c’era un luogo quasi irreale in cui risuonava musica vera, la grande musica: Mozart, Verdi, Puccini, perfino il jazz “degenerato”. Questo luogo era Terezín, in tedesco Theresienstadt, in onore dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, una “città in miniatura”, situata a poco più di sessanta chilometri a nord-ovest di Praga, così sprofondata nelle umide bassure alla confluenza dell’Eger con l’Elba che né dalle colline intorno a Leitmeritz né nelle immediate vicinanze è possibile vedere altro se non la ciminiera della fabbrica di birra e il campanile della chiesa.
“Bier, Tabak und Musik”, scrive Thomas Mann nella Montagna incantata, ed è noto che, nei campi di sterminio, gli ufficiali delle SS, frequentavano i concerti delle orchestre dei deportati, per distrarsi un po’ dal loro ‘lavoro’, sfuggire alla noia delle domeniche pomeriggio nei Lager e riaffermare il loro amore per la musica classica.
Orchestre da camera, sinfoniche e addirittura jazz-band o gruppi di mandolinisti, si ‘esibivano’ nei ghetti di Varsavia, Vilnius, Lwóv o di Lódz.
A Varsavia, dove lo Judenrat patrocinava un’orchestra sinfonica, un quartetto d’archi e il coro ebraico Shir, era molto noto il jazzista George Scott.La sua presenza era considerata une vera attrazione.
Provate a immaginare, scrive Stefan Kiesiekewski, un musicista mulatto dirigere una jazz-band nel centro di una città in mezzo al finimondo della guerra.
Per quanto riguarda i Lager dislocati nei territori del Reich e in Polonia, risulta che in essi fossero attivi numerosi gruppi corali e piccole orchestre (lagerkappellen). Oltre alle orchestre di musica classica, il cui repertorio, in assenza di partiture, veniva eseguita a memoria, si esibivano, jazz-band e gruppi che eseguivano musica leggera. Era frequente ascoltare brani di Irving Berlin, Duke Ellington e Cole Porter.
A Buchenwald operò il giovane direttore d’orchestra cecoslovacco Vlastimil Louda che il 1 agosto 1943 organizzò il primo concerto del campo il cui programma includeva, tra l’altro, una fantasia sui temi dell’opera Dalibor di Smetana, brani di Mozart e la marcia Erinnerung an Buchenwald, appositamente realizzata da un deportato Ondrej Volráb.
Lo stesso avveniva in altri campi, dove il repertorio abbracciava le Danze slave n. 8 e n. 10 di Dvorák, Sinfonie di Beethoven, l’Incompiuta di Schubert, La Traviata di Verdi e, poi ‘operette’ di Franz Lehar e il Lohengrin di Wagner, eseguita davanti a Himmler nel gennaio del 1945 a Mauthausen.
A Dachau era stato internato il compositore Jiulius Schloss e il repertorio dell’orchestra comprendeva opere di Mendelssohn, di Listz e di Offenbach.
Fra i musicisti rinchiusi ad Auschwitz c’erano il chitarrista jazz Heinz ‘Coco’ Schumann (che aveva fatto parte, a Terezin, dei Ghetto-Swingers) e i compositori Szymon Laks e Jozef Kropinski, al quale si devono più di 300 fra, canzoni, ballate e pezzi per pianoforte o per quartetti d’archi, tutti realizzati durante la deportazione. Ad Auschwitz si ‘esibiva’ anche un’orchestra di zingari, un quartetto d’archi e un’orchestra maschile.
Assai celebre, anche perché unica nel suo genere, infine, un’orchestra tutta femminile, che assunse particolare rilievo a partire dai primi mesi del 1943, dopo l’arrivo al campo di Alma Rosé, figlia di Justine Mahler (sorella minore di Gustav Mahler) e di Arnold Rosé, famoso Konzertmeister dell’Orchestra Filarmonica di Vienna e fondatore del ‘Quartetto Rosé.
Emilio Jani, un ebreo triestino deportato ad Auscwitz nel 1944, racconta di aver eseguito brani di Leoncavallo, di Puccini, Donizetti.
Le fiamme divampavano, i corpi bruciavano senza sosta e la musica era la colonna sonora dell’ammutolire della vita.
Spesso si udivano voci che intonavano il kaddish, la preghiera per i defunti. Richard Glazar, uno dei pochi sopravvissuti del campo, affida a Claude Lanzmann un terribile ricordo: faceva già buio, siamo entrati nella nostra baracca, abbiamo mangiato e dalla finestra non si finiva mai di vedere il fantastico sfondo di fiamme di tutti i colori immaginabili: rosso, giallo, verde, viola e improvvisamente uno di noi si alzò… sapevamo che era cantante d’opera a Varsavia. Si chiamava Salve e davanti a quella cortina di fiamme ha cominciato a salmodiare un canto per me sconosciuto. Dio mio, Dio mio, perché ci hai abbandonati? Già in passato siamo stati dati alle fiamme, ma non abbiamo mai rinnegato la Tua Santa Legge. Ha cantato in Yiddish mentre dietro di lui ardevano i roghi.
A Terezin, vivevano all’interno del ghetto almeno cinque compositori di grande statura: Pavel Haas, Hans Kràsa, Viktor Ullmann, Gideon Klein e Sigmund Schul. A questi nomi se ne potrebbero aggiungere tanti altri. Sicuramente quelli citati avevano un notevole spessore artistico. Pur appartenendo a due generazioni diverse erano figli di quell’epoca tremenda. Dal punto di vista del linguaggio musicale le influenze andavano dal tardo romanticismo europeo fino a Gustav Mahler e alle opere giovanili di Arnold Schönberg, all’espressionismo e allo stile di Alban Berg.
Ma al di là delle loro composizioni mi preme ricordare la loro disciplina creativa e la ricerca di un costante
equilibrio tra sentimento e ragione.
Tutto questo, quando il tempo era già finito ed era chiaro che non c’era più tempo per nulla...
Narrazione tratta dalla pubblicazione "Musica e Shoah" curato da Deborah D’Auria

Ringrazio chi ha avuto la grande forza di leggere tutto quanto descritto.
Non si trovano parole per esprimere un commento.
Questo racconto rimarrà per sempre marchiato col ferro rovente nella memoria.
Grazie.

(Luciano Coppola)











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