KC Ghemme Bassa Valsesia
Al ristorante Vecchia Sizzano il Giudice Mario Andrigo Sostituto Procuratore presso la Procura di Pavia ed ex Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ha trattato un tema di estrema attualità:
“La ‘Ndrangheta al Nord: un corpo estraneo o un’infiltrazione reale?”.
Nato a Bormio, in Valtellina, il giudice si è laureato alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia con una tesi in Storia del diritto italiano. Dopo aver svolto per alcuni anni la libera professione di avvocato, nel 1997 è entrato in magistratura svolgendo il tirocinio a Brescia. Dal 1998, ottenuto il conferimento delle funzioni giudiziarie, è stato trasferito a Reggio Calabria dove ha lavorato come Pubblico Ministero per tredici anni, dei quali nove alla Direzione Distrettuale Antimafia. Gli anni in Calabria - ha dichiarato il Giudice Andrigo - sono trascorsi con grande impegno professionale ma anche con grande serenità, grazie soprattutto alla vicinanza ed al sostegno di mia moglie Barbara ed all’arrivo, nel 2002, di mia figlia Elisa. Nel 2010 ha ottenuto il trasferimento alla Procura Generale della Corte di Appello di Reggio Calabria e, dopo circa un anno, ebbe un ulteriore trasferimento d’ufficio alla Procura di Vigevano, che in quel periodo era rimasta con un solo magistrato su quattro. Oggi, dopo la recente soppressione del Tribunale e della Procura di Vigevano, presta servizio alla Procura di Pavia come Sostituto Procuratore della Repubblica. Nel 2011, insieme a Lele Rozza, esperto di comunicazione, ha pubblicato il saggio “Le radici della ‘ndrangheta”, edito da Nutrimenti, con la prefazione di Giuseppe Pignatone, già Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria ed oggi Procuratore Capo a Roma.
Nella relazione il Giudice Andrigo ha disegnato un quadro a dir poco sconvolgente della realtà odierna nel mondo dell’imprenditoria. La criminalità organizzata, si chiami mafia, sacra corona unita, camorra o ‘ndrangheta si è ramificata ed ha proliferato anche nelle regioni del nord Italia. In particolare la ‘ndrangheta si è specializzata sempre di più ed ha usato e sta usando metodi sempre più sofisticati di “invasione” nel territorio entrando in molti casi nelle “stanze dei bottoni” sia nel settore pubblico che nel privato. Una volta entrati nei posti chiave diventa per loro più facile gestire i loro traffici, che non sono più solo quelli tradizionali del contrabbando o della droga, ma influenzano dai vertici il potere politico ed economico a loro vantaggio. Il giudice Andrigo ha esposto un caso esemplificativo del sistema di acquisizione del potere da parte della ndrangheta tratto da un breve capitolo del libro da lui scritto in collaborazione con Lele Rozza: “Le Radici della ‘Ndrangheta”.
Il caso di Alberto, imprenditore nel settore metalmeccanico è eclatante. Anche in periodo di crisi Alberto era riuscito a tenere in piedi l’azienda di famiglia, anche se i dipendenti si erano ridotti da 30 a 15. Quando arrivò la mazzata dal tribunale che gli diede torto in una causa con il proprio ex socio e lo obbligò a versare 400 mila euro non ce la fece più. Le banche non erano disposte ad aumentare lo scoperto per una cifra del genere e l’azienda era sull’orlo della chiusura. In quel periodo due conoscenti di origine calabrese, artigiani edili, avendo del capitale da investire gli proposero di entrare in società nell’azienda. I 400 mila euro li avrebbero chiesti ad un loro compare calabrese che lavorava in una finanziaria e avrebbe con certezza risolto il problema. Alberto ci pensò un paio di giorni valutò la proposta che vide come unica alternativa al fallimento e alla chiusura dell’attività. pensò anche alle 15 famiglie dei dipendenti che si sarebbero trovate improvvisamente senza reddito e alla fine accettò di fare l’accordo con quei due simpatici calabresi.
Furono sufficienti 15 giorni per avere i 400 mila euro sul conto, l’azienda si salvò dal fallimento pur con una bella rata da pagare del prestito. Aumentarono anche gli ordini ricevendo richieste da alcuni amici dei soci calabresi. Fu invitato ad assumere tre persone, due operai effettivi ed uno “sulla carta”. Piano piano si accorse però di non essere più padrone di decidere nella sua azienda, anche se rimaneva la sua titolarità.
Quando i due soci calabresi furono arrestati per associazione mafiosa e riciclaggio di denaro sporco Alberto rimase coinvolto nell’inchiesta con l’accusa di favoreggiamento e ci volle molto tempo prima che ne potesse uscire in qualche modo. L’azienda fu comunque chiusa ed Alberto, con i soldi perse anche l’onorabilità. La storia di Alberto è servita al giudice Andrigo per stigmatizzare una situazione all’apparenza normale, ma che, dando fiducia alle persone sbagliate, si può trasformare in una drammatica odissea. Dalla appassionata e partecipata discussione è emerso che l’unico sistema per combattere le infiltrazioni mafiose è quello del comportamento irreprensibile da parte di ognuno, coinvolgendo nei propri affari solo persone affidabili che con le loro azioni stiano sempre sicuramente entro i binari della legge.
Al termine della serata la Presidente del Club ha ringraziato il giudice Andrigo consegnandogli alcuni omaggi e ricordando che il ricavato della serata sarà destinato ai service a favore di bambini in difficoltà, onorando la “mission” del kiwanis.
del 25/03/2014
ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE FONDATA NEL 1915 A SERVIZIO DELLA COMUNITÀ E DEI BAMBINI
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